Matteo Burani

Drammatico

Matteo Burani Playing God


2024 » RECENSIONE | Drammatico | Cartoni animati | Stop Motion
Con Scritto con Gianmarco Valentino, Animazione Arianna Gheller



03/09/2024 di Laura Bianchi
La Mostra del Cinema di Venezia ha ospitato un corto inusuale, originale, eccellente, dalla firma tutta italiana: Playing Godin concorso quest'anno alla Settimana della Critica, di cui Mescalina aveva dato la notizia qui.

A scriverlo, insieme a Gianmarco Valentino, e a dirigerlo è il trentatreenne bolognese Matteo Burani, che, con Arianna Gheller, ha dato vita allo Studio Croma, realizzando video in stop motion, e utilizzando tecniche che recuperano la competenza artigianale, affiancandola a processi digitali, particolarmente evidenti in questo corto, di soli nove minuti, che però rivelano una potenza espressiva e una volontà di suscitare riflessioni profonde non comuni.

La tecnica, innanzitutto: puppet animation, clay animation (ripresa a 24 fotogrammi al secondo, ossia "passo uno"), pixilation, stop motion con la plastilina, scelta di colori accuratissima, con molte citazioni dalla storia - i corpi scheletrici e i teschi delle vittime di Auschwitz - e dalla storia dell'arte, prima tra tutte lo splendido, drammatico Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell'Arca, presente in una chiesa bolognese, ma anche le atmosfere di Francis Bacon e di Munch. Un lavoro di cesello su ciascuna delle figure in plastilina color terracotta, dagli sguardi liquidi e smarriti e dall'espressività mutevole e drammatica, densa di umanità, rende possibile una profonda empatia tra lo spettatore e le creaturine che si agitano sullo schermo, sollevando più di una problematica. 

Quanto si potrebbe scrivere, di questi nove minuti dai chiaroscuri caravaggeschi, composti da silenzi interrotti da sospiri, lamenti, e una colonna sonora  di Pierdanio Forni, vicina alla dodecafonia di Berio, per rendere in modo prismatico la complessità della realtà e dell'identità. Innanzitutto, proprio l'uso della luce, che potremmo definire biblica, con una Genesi (la luce del laboratorio del Grande Artefice che si accende improvvisamente, illuminando le creaturine - non sveleremo altro -, e un'Apocalisse (il buio, molto più enigmatico e problematico di quanto ci si aspetterebbe).

Poi, da notare i movimenti degli esseri, che esprimono un'umanità dolente e sensibile, e che rivelano un lavorìo meticoloso, da parte dello Studio Croma, per donare, ai gesti e alle reazioni dei personaggi, tridimensionalità e profondità coerenti, oltre che intensità sconvolgente alla mimica facciale del protagonista, con cui l'empatia è appunto immediata.

Infine, stupefacenti sono i molteplici riferimenti all'immaginario filmico, tra le apocalissi zombie e le mutazioni fisiche di certo cinema di Cronenberg, e a quello letterario, in primis l'Antico Testamento, per la dialettica tra creatore e creatura (antagonisti, ma, in qualche fotogramma, anche specchi uno dell'altra, grazie all'uso attento della soggettiva), poi l'Inferno dantesco, per la metamorfosi che ricorda il canto XIII, e certamente Pirandello, per la molteplicità dell'individuo, che può essere clonato, ma anche scomporsi egli stesso in centomila esseri. 

Ma un capolavoro simile non può essere raccontato oltre; occorre dedicarvi nove minuti di visione, ma vi avviso: ai nove minuti, ne seguiranno molti altri, di sedimentazione dei pensieri e delle emozioni suscitati dall'esperienza. Come ogni vero film, lungo o corto che sia, dovrebbe fare.