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Lili Fini Zanuck Eric Clapton: Life in 12 Bars
2017 » RECENSIONE DOCUMENTARIO | Documentario | Musicale
Con Eric Clapton
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16/03/2018 di Helga Franzetti
Il primo ciack di Life in 12 Bars è un video/selfie in cui Clapton dichiara: “Se non lo conoscete vi consiglio di cercare e ascoltare l’album Live at the Regal di B.B.King. Contiene tutto quello che c’è da sapere sul motivo per cui ho iniziato a suonare la chitarra”. Il blues entra a far parte della sua vita fin da giovanissimo: il sabato mattina alla radio Eric ascolta “Uncle Mac”, un programma per ragazzini dove si trasmetteva anche del blues… “qualcosa mi rapiva”, afferma. Cominciano così la passione per la “musica del diavolo”, la collezione di dischi e i chilometri fino al Marquee Club su Oxford Street per cercare chi avesse la sua stessa ossessione (“la serata blues era il giovedì, ci si trovava e si ballava”) e quando gli viene regalata una chitarra acustica, inizia a suonare i pezzi di Big Bill Broonzy fino a notte fonda. Nella figura dell’autentico bluesman, un uomo da solo con la sua chitarra che non ha altre alternative alla musica, si identifica, si ritrova.
Le parole all’inizio del film “Fin da bambino sapevo di essere diverso, ma non sapevo perché”, racchiudono in realtà il senso di appartenenza a quell’universo fatto di ombre e di blues che regola tutta la sua esistenza.
Il talento, per Clapton, diventa il motore, la sofferenza il carburante, un viaggio verso una continua ricerca espressiva. Personalità complessa, schiva, costantemente in bilico tra dannazione e redenzione, fin dall'infanzia il disagio vissuto lo porta a rincorrere qualcosa che potesse dare un senso al suo dolore, una ragione al suo tormento.
La totale aridità di sentimenti dimostrata dalla madre nei suoi confronti, mina un’esistenza segnata dalla ricerca incessante di approvazione e dal desiderio estremo di esprimersi con la musica. Rabbia, sofferenza e inquietudine diventano l’accompagnamento obbligato lungo il quale si snoda la melodia di tutto il film che ricostruisce l’infinita carriera di Clapton.
Grande spazio nel film occupa il tormento amoroso per Pattie Boyd, moglie del suo grande amico George Harrison. E’ per lei che scrive quelle maledette e meravigliose pagine di musica racchiuse nell’album Layla, sotto lo pseudonimo di Derek and The Dominos (ispirandosi ad un racconto persiano intitolato “Layla & Majnun”). Il vortice di droghe e depressione che sempre di più lo risucchia, la morte del suo amico Jimi Hendrix ("Mi sono arrabbiato soprattutto perché non mi ha portato via con lui") e la conseguente caduta nell'alcool (“nei momenti più bui, la sola ragione per cui non mi sono suicidato è stato il pensiero che se fossi morto non avrei più potuto bere”) ne segnano la resa e la disfatta artistica e personale. I live ci mostrano un Clapton ubriaco sul palco attraverso immagini estreme, senza decoro, ma oneste e apprezzabili per la sincerità e la schiettezza delle quali è permeata l'intera narrazione. La morte del piccolo Conor, nato da una relazione con Lory Del Santo, sarà il motivo di una resurrezione umana ed artistica con cui troverà la forza per rimettersi in cammino verso il riscatto.
La consacrazione definitiva arriva con il brano Tears in Heaven e le numerose vittorie ai Grammy Awards per Unplugged, mentre BB King lo omaggerà in uno stadio pieno.
In conclusione, in “Life in 12 bars”, la vicenda umana forse supera la storia musicale, ma la scelta di raccontare tanto l’uomo quanto l’artista riesce a far intuire l’inestricabile legame tra i due elementi, a farci comprendere la profonda connessione tra drammi, gioie esistenziali ed una creatività musicale che proprio da questi alti e bassi ha tratto linfa, emozionando più di una generazione di ascoltatori e finendo con influenzare più di una generazione di musicisti. Per gli amanti della musica ma non solo, una storia umana e commovente.