Non ci sono dubbi che il film “La classe” di Laurent Cantet, vincitore della Palma d’Oro al 61° Festival di Cannes, sia fondamentalmente un film politico. Non tanto perché mette in scena, insieme ai personaggi e alle loro storie, una precisa ideologia, ma proprio per non averlo fatto assume quella valenza politica capace di porre i responsabili francesi (ma non solo) delle politiche di immigrazione dinanzi alla mancata integrazione delle periferie (in questo caso) parigine. E quando tale scollamento sociale avviene dentro le mura di una scuola, e quindi tra ragazzi adolescenti, la denuncia di un film (o anche di un libro, essendo la pellicola basata sul romanzo omonimo dell’insegnante Francois Begaudeau) riveste un’importanza non più periferica, bensì nazionale se non proprio transnazionale. I ragazzi-studenti-attori del film, infatti, pur parlando francese possono benissimo rappresentare la gioventù di tante altre nazioni alle prese, soprattutto negli ultimi anni di globalizzazione, con un’immigrazione che riempie le scuole del mondo di culture e tradizioni diverse e lontane al tempo stesso. Ci troviamo in un istituto della periferia parigina dove un professore di francese, interpretato dal vero professore Begaudeau (l’autore del libro), si cimenta con un gruppo di ragazzi che sembra davvero poco interessato ad apprendere i rudimenti della propria lingua. E qui sta il problema di fondo, sembra suggerirci il regista, quando si vede il professore chiedere ai suoi allievi di quale nazionalità si sentano e le risposte lasciano a dir poco esterrefatti. In una classe composta in gran parte da ragazzi originari di altri paesi, nonostante siano nati in Francia, la maggior parte di loro dichiara di sentirsi tutt’altro che francese, e di fronte all’impresa (impossibile?) di insegnargli a parlare come si deve la lingua il professore si scontra, lezione dopo lezione, contro un muro di diffidenza e indifferenza insormontabile. Ecco dunque materializzarsi la valenza profondamente simbolica del film, che già a partire dal sottotitolo (“Entre les murs”, dentro le mura) ci avverte della presenza metaforica di un ostacolo tanto invisibile quanto reale che non divide soltanto i luoghi dell’azione filmica (la classe, appunto) dal mondo esterno, ma sembra separare irrimediabilmente il professore dai suoi stessi alunni. Un muro sociale difficile da buttare giù, e che come ogni muro impedisce quel dialogo tra culture indispensabile ad una società multiculturale tesa all’inclusione delle sue periferie. Quelle periferie, in fondo, che sono anche un po’ nostre, o lo saranno molto presto. Un film coraggioso nel guardare con occhi diversi e sinceri alla realtà magmatica della scuola del XXI secolo.