L. Cantet

L. Cantet A TEMPO PIENO


2001 » RECENSIONE |
Con A.Recoing, K.Viard, S.Livrozet

di Elena Cristina Musso
Si può essere davvero impegnati a fare i disoccupati? E’ quello che riesce benissimo a Vincent, il protagonista di “A tempo pieno”.
Il film, che si ispira ad un fatto realmente accaduto, racconta di un uomo che, avendo perso il suo impiego anche a causa della sua insofferenza ad una routine che non riesce più ad accettare, finge con la sua famiglia di aver deciso di cambiare lavoro e di aver trovato un nuovo incarico addirittura all’ONU. In realtà, trascorre il suo tempo chiuso in macchina a girare senza meta in autostrada, dormendo nei parcheggi degli autogrill, preoccupandosi di telefonare alla moglie per raccontarle di continui e improrogabili impegni di lavoro e tornando a casa solo il tempo di brevi e fugaci week-end. Riesce a sostenere la sua finzione, persino a garantire un buon tenore di vita a moglie e figli, proponendo falsi investimenti economici a fiduciosi ed inconsapevoli conoscenti e ottenendo anche un prestito da suo padre per un’inesistente casa a Ginevra.
Egli si mimetizza anonimamente sia fra i camionisti che conversano nei bar delle stazioni di servizio, che fra gli uomini d’affari che popolano le hall degli hotel, sui divani delle quali trascorre parte delle sue giornate a studiare nuove strategie per la sua vita di disoccupato sui generis. In questo modo si farà anche coinvolgere in un traffico di marchi contraffatti da Jean Michel, il direttore di uno degli hotel in cui trascorre il suo tempo; e tale attività clandestina, in un simile contesto di ambiguità, assumerà i connotati di un lavoro vero. Gli piace guidare in autostrada, ascoltando le canzoni alla radio, guardando il mondo che lo circonda filtrato dal parabrezza dell’auto. Era l’unica cosa che gli piaceva del suo vecchio lavoro. E’ l’unica cosa che lo lega al passato nella sua nuova strana vita. Ciò che colpisce del protagonista di questa storia é la caparbietà e l’impegno con cui imbastisce la trama della sua quotidianità totalmente inventata, investendovi tutte le energie. Vincent si applica meticolosamente in questo suo fingersi ciò che non é con parenti ed amici e, paradossalmente, trova proprio in tale finzione la sua professione, difendendola da ogni sospetto con la forza che solo la verità dovrebbe avere. In realtà é la prima volta, probabilmente, che egli riesce a vivere una propria verità, anche se distorta dall’inganno. Nasce il dubbio che fino ad allora abbia vissuto le verità degli altri: quella del padre che lo vede con l’occhio del suo orgoglio, di una moglie che, forse, non ha la forza di affrontare le fragilità del marito, di un figlio adolescente che ripete atteggiamenti e distanze vissute col padre dallo stesso Vincent.
Il regista Laurent Cantet aveva già affrontato il tema del lavoro nel suo film d’esordio “Risorse umane”, analizzandone, però, più gli aspetti sociali e politici. “La tua definizione nel mondo passa attraverso quello che fai”, afferma lo stesso regista in un’intervista; e tale affermazione é la chiave di lettura per “A tempo pieno”. Gli sforzi spesi da Vincent nella sua invenzione, partono proprio da questa consapevolezza e dal non volervisi arrendere fino in fondo. Egli cerca nell’inganno il compromesso fra il suo essere e ciò che il suo lavoro lo fa apparire agli altri. Il finale rivela negli occhi del protagonista il dramma della resa.
Azzeccatissima la scelta di Aurélien Recoing (un attore di estrazione teatrale poco conosciuto anche in Francia) per interpretare il protagonista. Regia ed ambientazione hanno uno stile scarno ed essenziale, ma che efficacemente contribuiscono alla definizione di storia e personaggi. Il film ha valso a Cantet il premio Leone dell’anno al Festival di Venezia 2001