Non avrebbe di certo sfigurato "Texas" del debuttante Fausto Paravidino in concorso nella sezione principale del recente Festival di Venezia (quindi sottoscriviamo la lamentela del produttore Procacci che si è dovuto "accontentare" della sezione Orizzonti!). E questo perché l'opera d'esordio del giovane ligure Paravidino colpisce dritto allo stomaco - ed al cuore - sinceramente stupendoci per padronanza del mezzo cinematografico e personalità di racconto notevoli. Siamo nella campagna/provincia nel Texas di qualsiasi regione del mondo popolata da un'umanità varia che abbracciando l'arco generazionale dell'essere umano produce una sofferta e tumultuosa cavalcata nelle più profonde e dolorose viscere delle emozioni e dei sentimenti umani. Deboli, indecisi, rassegnati, ironici, i protagonisti di quest'epica epopea di provincia (dai giovani malati di solitudine ed inezia, agli uomini ed alle donne con tanta voglia di riscattarsi per approdare agli anziani irosi e debilitati) sono lo specchio fedele e deformante insieme di una realtà italiana - ed universale per vastità di temi e risoluzioni - che tra beghe familiari e dilemmi dell'animo umano raccontano di noi con impietoso sguardo e lucida pietas. Una scrittura agile e precisa (opera dello stesso Paravidino con la collaborazione di Iris Fusetti e Carlo Orlando), una regia nervosa e funzionale ed interpreti dai volti ed aderenza ai loro personaggi inquietamente perfetta (idem per le "star" Valeria Golino e Riccardo Scamarcio in un cast di attori sconosciuti al grande pubblico) fanno di "Texas" un 'analisi "altmaniana" o alla Paul Thomas Anderson (chissà quante volte il regista avrà rivisto il suo "Magnolia") di tempi, luoghi e gente che nella loro epica quotidianità profumano di desolazione e vuoto immensi.