In America con un soggetto (quasi!) simile sono stati capaci di produrre la stanca commedia romantica “Green Card” con un distratto Peter Weir alla regia e due attori fuori parte come Gerard Depardieu e Andie McDowell! In Europa invece con lo stesso plot (ragazza turco tedesca per sfuggire alla prigionia impostale dalla sua famiglia devota e conservatrice “combina” un matrimonio di facciata con un quarantenne turco/tedesco in avanzato stato di autodistruzione!), il regista Fath Akin ha dato vita ad una delle più struggenti e sofferte storie d’amore del grande schermo, meritatissimo Orso d’Oro della scorsa edizione del Festival di Berlino. Inizialmente concepita e scritta come una commedia (lo spunto peraltro nasce da una vicenda simile accaduta al regista), la storia de “La Sposa Turca”, grazie ai suoi due appassionati ed autentici interpreti, si trasforma in un film “neorealista” e tragico capace di dosare abilmente le note colorate e tragiche della vita raccontata come in presa diretta. Lui, Cahit – l’uomo i cui numerosi tentativi di suicidio lo hanno prima condotto in una clinica psichiatrica e poi schiavo di alcool e droghe – ha il volto sofferto, intenso e “sporco” dell’attore Birol Unel mentre lei, Sibel – fragile e determinata creatura in lotta libera con il mondo intero – ha l’innocenza e la forza dell’attrice esordiente Sibel Kekilli (impiegata nel settore amministrativo di un centro commerciale di Colonia). Insieme sono il motore e l’anima, il dolore , la gioia e la disperazione di una storia d’amore che nelle parole e direzione del regista Akin trovano il più sincero e appassionato alleato. E se un finale prevedibile e scontato (ma terribilmente realistico nei confronti della vita ed onesto al rispetto della storia) lascia un senso di momentanea insoddisfazione, a luci accese resta addosso come l’odore ed il sapore di vite umane che ti sono entrate sottopelle scavando indolori ma profonde cicatrici.