La prima espressione che viene in mente dopo la visione di Bobby è che è un film riuscito bene. Viene proprio da pensare che il film sia stato pensato proprio così dal regista e che è riuscito a trasmettere perfettamente ciò che sentiva dentro. Poi ci si chiede come abbia fatto Emilio Estevez ad acquisire questa padronanza, e allora si scopre che l’eterno ragazzino di gavetta dietro la macchina da presa ne ha fatta, e anche tanta. Per quanto riguarda la carriera da attore, molti se lo ricordano più all’inizio della carriera, negli anni Ottanta, mentre la sua parentela con il grande Martin Sheen e con lo strampalato fratello Charlie l’hanno sempre tenuto nell’entourage hollywoodiano. E allora fa piacere vedere che il più talentuoso dei due fratelli Sheen ce l’ha fatta a divenire un autore cinematografico di rilievo, con questa pellicola che merita la giusta attenzione che sta avendo. Bobby è una sorta di cronaca delle ultime ore che precedono il tragico omicidio del fratello dell’ex-presidente John Kennedy, alla vigilia della sua scalata alla Casa Bianca (e preceduto da quello sconvolgente di Martin Luther King). Omicidio non meno importante di quello di John, in quanto sancisce la fine di un’epoca di fare politica, dove, seppure con un certo grado di retorica, le speranze verso un mondo migliore, fatto dalla gente e non dai potenti, era all’ordine del giorno della dialettica politica. Era anche il ’68 e di cose da raccontare su quegli anni, su quella società stravolta da varie consapevolezze ce n’era molta. Ed Emilio Estevez lo fa con grande cura, affiancando alle immagini di piglio documentaristico del futuro probabile presidente delle storie ordinarie e straordinarie nello stesso momento, dalla parrucchiera tradita dal marito, dalla cantante alcolizzata, al direttore dell’albergo, ai due giovani che scoprono l’LSD, ai due vecchi che giocano a scacchi, al matrimonio combinato per non partire in Vietnam, al cameriere extracomunitario, insomma, tante, tante storie, che poco si incrociano, si sfiorano solamente, salvo l’essere testimoni (e in parte vittime) del triste epilogo di quella storia. Estevez ha ottenuto per questo film, in parte molto altmaniano, un cast incredibile: Anthony Hopkins, Helen Hunt, Demi Moore, Freddy Rodriguez, Sharon Stone, Elijah Wood, Laurence Fishburne, Heather Graham, Martin Sheen, Harry Belafonte, Lindsay Lohan, Christian Slater, William H. Macy, solo per citarne alcuni. Le parti migliori sono i duetti tra la Stone e la Moore e quelli tra Hopkins e Belafonte, tutti ai massimi livelli; importante anche il compassato ruolo che si è ritagliato per sé Estevez e quello romantico che ha riservato al padre Martin. E il finale sulle note di Simon & Garfunkel sembra chiudere un’era, un’epoca con tante contraddizioni, speranze, di un’America ricostruita magistralmente in questo film attraverso delle normali storie di persone.