Capita certe volte che il cinema e la poesia diventino parte della stessa opera d’arte, dispensando emozioni come quando, intenti a leggere un verso particolarmente evocativo, ricreiamo con la nostra forza immaginativa quei luoghi, quei personaggi o, semplicemente, quegli stati d’animo che un poeta riesce a trasmetterci con la sola forza della parola scritta. Capita altre volte, invece, che quelle immagini del pensiero siano già pronte per essere ammirate, in tutta la loro vivida presenza, sopra di uno schermo cinematografico: si materializza, così, l’eterno miracolo del cinema, di quelle immagini in movimento sempre più spesso il surrogato dei nostri più ricorrenti sogni (ed incubi). “Nuovomondo”, secondo lungometraggio di Emanuele Crialese (premiato con il Leone d’Argento come miglior film rivelazione all’ultimo festival di Venezia), è tutto questo ed altro ancora: cinema e poesia, passato e presente, sogni e paure, partenze e ritorni, sconfitte e riscatti. Ma, soprattutto, è un film d’amore, vero movente dei personaggi sulla scena di una Sicilia, a inizio Novecento, lontana più che mai da un “mondo nuovo”, il nuovo americano. E così la famiglia Mancuso, capitanata dal padre Salvatore, decide di salpare alla volta di questa nuova vita (magnifica la sequenza della partenza in nave dalla Sicilia). Ma da subito capiamo che ciò di cui siamo spettatori, a tratti, non sembra la realtà quanto la sua trasfigurazione compiuta dagli occhi sognanti dei personaggi: come spiegare altrimenti la pioggia battente di monete oppure la vista in lontananza di ortaggi grandi come una casa? Queste leggende, infatti, accompagnavano gli emigranti di inizio secolo attraverso un oceano (Atlantico) di speranze e di timori. Ecco dunque la chiave di volta del film di Crialese: più che un viaggio fisico, “Nuovomondo” è un viaggio dell’animo. Qui è tutto un passare dal sogno alla realtà, e viceversa; qui ogni cosa diventa simbolo di un riscatto che tanti italiani cercarono (e non sempre trovarono); qui Crialese fa sua la lezione del Visconti de “La terra trema”, dando dignità alla lingua degli emigranti, per rendere su pellicola l’attaccamento alle radici della loro Patria, ma al tempo stesso la volontà comunque di guardare avanti, al futuro nel “nuovomondo”. Che altro dire? Occhio alla prossima notte degli Oscar, magari al premio come miglior film straniero.