Edward Berger Conclave
2024 » RECENSIONE | Drammatico | Thriller
Con Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto, Isabella Rossellini
04/01/2025 di Laura Bianchi
Niente di nuovo sul fronte occidentale, che gli ha fruttato quattro Oscar, Edward Berger torna alla regia con un'altra opera basata su un romanzo; stavolta è quello, omonimo, di Robert Harris, ambientato in un tempo imprecisato, ma in un luogo notissimo: il Vaticano. Conclave racconta esattamente quanto suggerisce il titolo: muore un papa, se ne dovrebbe fare un altro, sotto la guida del cardinale e decano Thomas Lawrence (un Ralph Fiennes da Oscar), ma niente è come sembra, i candidati vengono eliminati - anche se non fisicamente - uno a uno, e i colpi di scena non mancano.
Il regista dimostra così di voler analizzare un'altra sfaccettatura dell'eterna lotta tra uomini per il potere, un altro aspetto della guerra, che pervade la nostra società, raggiungendo perfino il cuore di persone che, a ogni pié sospinto, parlano di Dio, di fede, di verità e di amore. In realtà, come esclama un cardinale (il bravissimo Stanley Tucci), a Lawrence che ribadisce che quello è un conclave, non una guerra: "Sì che è una guerra, e tu devi schierarti da una parte!". Si snoda una vicenda ovviamente romanzesca; del resto, è pur sempre tratta da un romanzo del genere thriller - spy story, la cui unica aspettativa è creare tensione, in un ambiente, il Vaticano, che già molte opere hanno dipinto come un luogo di conflitti aperti, inconfessabili segreti e vizi nascosti. Berger è però abile a trasformare gli stereotipi in tipi umanissimi, che riflettono, anche in modo disturbante, parte di noi, nelle ipocrisie, nell'indifferenza, in certi atteggiamenti intolleranti.
Che la Chiesa sia lacerata da due opposte tendenze, quella innovatrice e quella ultratradizionalista, è risaputo; nel film esistono, incarnate in due figure opposte e comunque entrambe portatrici di istanze in parte condivisibili: la prima, nel cardinale Vincent Benitez, un enigmatico, ispirato Carlos Diehz, e la seconda, nel cardinale Goffredo Tedesco, un sanguigno, terreno Sergio Castellitto.
Ma l'interpretazione chiave è, a mio parere, quella data dall'unica donna che ha potere di parola, sorella Agnes, che ha lo sguardo di un'intensa Isabella Rossellini; a suggerire, e quasi anticipare, il colpo di scena finale, e a far pensare alla famosa frase di Papa Luciani, nel 1978: "Dio è papà; più ancora è madre."
Lungi dal voler fare del cinema teologico, Berger si rifà piuttosto alla visionarietà di Sorrentino nella serie The New Pope, o in qualche punto al paradosso di Moretti in Habemus Papam, e costruisce un film di chiaroscuri, silenzi, sguardi, immagini memorabili, citazioni raffinatissime, come quella dell'opera - scandalo di Cattelan, La nona ora, nella scena dell'esplosione che frantuma i vetri di una Cappella Sistina apparentemente inespugnabile, simbolo della contemporaneità, con le sue lacerazioni, che irrompe nel conclave.
Proprio questa scena sembra essere una delle chiavi di lettura di un'opera che altrimenti verrebbe letta come l'ennesimo Game of Thrones in salsa papalina: la fede, che in molti citano nel film, rischia di cedere, sostituita da credenze transitorie, effimere e fallaci, dall'ideologia terroristica, alla spinta passatista, alla devozione a Mammona, il dio denaro, serpente che striscia silenzioso nelle stanze del potere. Fuori, muoiono centinaia di vittime di non meglio precisati attentati, in una distopia troppo attuale; dentro, rischia di morire quel Dio che dovrebbe ispirare i pensieri dei cardinali. La fotografia algida di James Friend accentua questa tesi, zoomando sui mozziconi di sigaretta dei cardinali, o sulle loro bocche che divorano i pasti preparati da suore silenziose e instancabili, mentre la colonna sonora di Volker Bertelmann sottolinea la dicotomia tra il tormento interiore del cardinale Lawrence e la tensione delle sue ricerche da investigatore alla Guglielmo da Baskerville ne Il nome della Rosa.
È un'opera, dunque, più complessa di quanto potrebbe sembrare, e forse Berger vi ha immesso un surplus di suggestioni; resta comunque un film da vedere, su cui tornare, dopo la visione, per un esame di coscienza umano, troppo umano.
Dopo il crudo, realistico Il regista dimostra così di voler analizzare un'altra sfaccettatura dell'eterna lotta tra uomini per il potere, un altro aspetto della guerra, che pervade la nostra società, raggiungendo perfino il cuore di persone che, a ogni pié sospinto, parlano di Dio, di fede, di verità e di amore. In realtà, come esclama un cardinale (il bravissimo Stanley Tucci), a Lawrence che ribadisce che quello è un conclave, non una guerra: "Sì che è una guerra, e tu devi schierarti da una parte!". Si snoda una vicenda ovviamente romanzesca; del resto, è pur sempre tratta da un romanzo del genere thriller - spy story, la cui unica aspettativa è creare tensione, in un ambiente, il Vaticano, che già molte opere hanno dipinto come un luogo di conflitti aperti, inconfessabili segreti e vizi nascosti. Berger è però abile a trasformare gli stereotipi in tipi umanissimi, che riflettono, anche in modo disturbante, parte di noi, nelle ipocrisie, nell'indifferenza, in certi atteggiamenti intolleranti.
Che la Chiesa sia lacerata da due opposte tendenze, quella innovatrice e quella ultratradizionalista, è risaputo; nel film esistono, incarnate in due figure opposte e comunque entrambe portatrici di istanze in parte condivisibili: la prima, nel cardinale Vincent Benitez, un enigmatico, ispirato Carlos Diehz, e la seconda, nel cardinale Goffredo Tedesco, un sanguigno, terreno Sergio Castellitto.
Ma l'interpretazione chiave è, a mio parere, quella data dall'unica donna che ha potere di parola, sorella Agnes, che ha lo sguardo di un'intensa Isabella Rossellini; a suggerire, e quasi anticipare, il colpo di scena finale, e a far pensare alla famosa frase di Papa Luciani, nel 1978: "Dio è papà; più ancora è madre."
Lungi dal voler fare del cinema teologico, Berger si rifà piuttosto alla visionarietà di Sorrentino nella serie The New Pope, o in qualche punto al paradosso di Moretti in Habemus Papam, e costruisce un film di chiaroscuri, silenzi, sguardi, immagini memorabili, citazioni raffinatissime, come quella dell'opera - scandalo di Cattelan, La nona ora, nella scena dell'esplosione che frantuma i vetri di una Cappella Sistina apparentemente inespugnabile, simbolo della contemporaneità, con le sue lacerazioni, che irrompe nel conclave.
Proprio questa scena sembra essere una delle chiavi di lettura di un'opera che altrimenti verrebbe letta come l'ennesimo Game of Thrones in salsa papalina: la fede, che in molti citano nel film, rischia di cedere, sostituita da credenze transitorie, effimere e fallaci, dall'ideologia terroristica, alla spinta passatista, alla devozione a Mammona, il dio denaro, serpente che striscia silenzioso nelle stanze del potere. Fuori, muoiono centinaia di vittime di non meglio precisati attentati, in una distopia troppo attuale; dentro, rischia di morire quel Dio che dovrebbe ispirare i pensieri dei cardinali. La fotografia algida di James Friend accentua questa tesi, zoomando sui mozziconi di sigaretta dei cardinali, o sulle loro bocche che divorano i pasti preparati da suore silenziose e instancabili, mentre la colonna sonora di Volker Bertelmann sottolinea la dicotomia tra il tormento interiore del cardinale Lawrence e la tensione delle sue ricerche da investigatore alla Guglielmo da Baskerville ne Il nome della Rosa.
È un'opera, dunque, più complessa di quanto potrebbe sembrare, e forse Berger vi ha immesso un surplus di suggestioni; resta comunque un film da vedere, su cui tornare, dopo la visione, per un esame di coscienza umano, troppo umano.