Effettivamente la carriera di Cronenberg, ormai pluridecennale, sta prendendo una strada diversa non solo rispetto agli esordi, ma anche agli anni ottanta e novanta; ormai i film del regista canadese (classe 1943) sono una quindicina e lontanissimi sembrano i tempi delle prime stupefacenti opere degli anni settanta, culto dello splatter, e dei capolavori del decennio successivo (“La mosca”, “Inseparabili”), fino al decennio della consacrazione, quei novanta conquistati con delle opere assolutamente non facili (“Il pasto nudo”, “Crash”) che hanno fatto di lui un Autore più che un regista per tutti. Gli anni novanta ci hanno presentato un Cronemberg più riflessivo ma allo stesso momento più immediato, con la difficile trasposizione di “Spider” di McGrath e il nuovo indirizzo con “A History of Violence” e questa nuova opera. In effetti in questi due film non si vede molto il classico tocco del regista, me entrambe le opere sembrano contenere in esse uno stile ben contraddistinto. E questo nuovo film convince molto più del penultimo, vuoi per la sceneggiatura che per la trama, molto più organica. A dire la verità la storia in sé non è così complessa, quella dell’ostretica di origine russa Anna Khitrova (Naomi Watts) che si ritrova tra le mani un diario di una giovane ragazza morta dando alla luce un bambino, e nel farlo tradurre viene invischiata tra le “faccende” di una famiglia della mafia russa, dal patriarca Semyon (Armin Mueller-Stahl), dalla testa calda del figlio Kirill (Vincent Cassel) e dall’autista Nikolai Luzhin (Mortensen). Il film ruota attorno alla figura della protagonista, pura, moralmente ineccepibile, e dall’ambiguità assoluta dell’autista, sospeso tra la crudezza, la spietatezza e un sottofondo di bontà che nasconde qualcosa. Il film si dipana con un incedere lento ma estremamente coinvolgente lungo i binari della trama che non lascia respiro, dove il senso generale è il peso delle scelte nella vita e della moralità di essa. Il surplus di questo gran bel film sono gli attori, tutti estremamente nella parte, da Vincent Cassel, che sembra fare collezione di ruoli scomodi, a Naomi Watts, impeccabile, all’esperto e perfetto Armin Mueller-Stahl, e ad un Viggo Mortensen mai così convincente, che rischia di diventare per Cronenberg quello che Di Caprio è divenuto per Scorsese. E scomodando proprio il regista italo-americano per un parallelo ideale, che con l’ultima opera ha ridefinito le coordinate della criminalità organizzata irlandese in America, con questo film Cronenberg fa lo stesso con quella russa in Inghilterra, anche lui con grande maturità che, in questo caso, li accomuna. Impossibile non finire la recensione senza un accenno alla scena della lotta nella sauna russa nella quale un Mortensen nudo, nervosamente muscoloso e tatuato ha a che fare con i cattivoni di turno, scena ormai già entrata nel mito e che, secondo alcuni, potrebbe valere da sola il prezzo del biglietto!