Aleksandr Sokurov

Drammatico

Aleksandr Sokurov Faust


2011 » RECENSIONE | Drammatico
Con Johannes Zeiler, Anton Adasinsky

20/03/2012 di Francesco Bove
Alcuni dicono che Sokurov sia l'erede artistico di Tarkovskij ma, dopo un'attenta visione del suo ultimo “Faust”, si potrebbe addirittura considerarlo migliore del suo maestro. Entrambi hanno la stessa forza espressiva, lo stesso rigore nel mettere in scena i soggetti scelti ma Sokurov, qui, va oltre, supera il concetto di cinema arrivando a deformare l'immagine, attraverso l'uso di lenti anamorfiche, o paradossalmente a togliere vivacità insistendo con tonalità accecanti, e a condurre lo spettatore in un Inferno post-dantesco animato da corpi putrescenti, vivisezionati senza troppo indugio da un Dottor Faust inquieto, bramoso di sapere, ma che finirà per vendere l'anima al diavolo per amore. Goethe viene guardato e scrutato con la lente di ingrandimento per poi essere centrifugato. Sokurov vuole gettare un ultimo sguardo sul concetto di Potere, indagare l'Uomo, coglierne le debolezze, concludendo la sua Tetralogia che ha visto protagonisti Hitler, Lenin e Hirohito.

“Faust” è, a tutti gli effetti, una summa del cinema sokuroviano, ritroviamo le inquadrature magnifiche di “Arca russa”, i colori di “Moloch”, l'immagine lavorata di “Taurus”. Ma, probabilmente, è anche il suo superamento sfruttando il digitale, i diversi formati, un uso ossessivo della luce e dei colori per creare un'opera d'arte estetizzante e unica, straniante, d'impatto. Nonostante il fetore, che lo spettatore realmente percepisce, dei corpi sventrati, gli olezzi emanati da un Mefistofele caustico e fedele servitore – il cosiddetto “povero diavolo” - , Sokurov non concede allo spettatore di immedesimarsi nel Dottor Faust perché, nonostante sia un film dove la scrittura è in primo piano, è piuttosto un'esperienza visiva estrema, fisica e disturbante. Cosa va cercando Faust in giro per la città, nel suo perpetuo rincorrere un sapere che gli è ancora oscuro? Cerca denaro, cibo, corpi, ancorato ad una materialità che non gli consente di conoscere l'Anima, di toccarla con mano. Ha bisogno di vendere l'anima al diavolo firmando col sangue una lettera talmente sgrammaticata da far terminare l'inchiostro per le numerose correzioni che apporta. Non sa che gli aspetta la solitudine eterna e che a nulla vale tumulare il suo diavolo custode.

Il Faust di Goethe si interrogava sulla modernità e sulle idee nuove che cominciavano a diffondersi, quello di Sokurov è incentrato sulla moneta – non per niente il Diavolo è uno strozzino – e sulla necessità dell'Uomo di superarsi. Non c'è ambientazione storica, e qui la fotografia accorre in aiuto, e non ci sono uomini depositari di valori importanti, come la Margherita di Faust, ma un'energica corsa verso quell'oltre che, visivamente, Sokurov ci mostra alla fine del suo film.

Faust non si ferma mai e, in questo suo eterno peregrinare, cerca quell'onnipotenza che accomuna la sua figura a quella degli altri uomini di potere della Tetralogia. E, anche per lui, non c'è possibilità di salvezza.