Abel Ferrara

Drammatico

Abel Ferrara Pasolini


2014 » RECENSIONE | Drammatico
Con Willem Dafoe, Riccardo Scamarcio, Ninetto Davoli, Maria de Medeiros, Adriana Asti, Valerio Mastandrea



29/09/2014 di Paolo Ronchetti
Francia/Belgio/Italia, 1h27

Recensione alla VOS inglese, italiano, francese sott. Italiano
 
   Abel Ferrara racconta l’ultimo giorno di Pier Paolo Pasolini prima della morte avvenuta il 2 novembre 1975. Il grande artista ha 53 anni ed è il simbolo di un’arte che si scaglia contro il potere. Pasolini è qui il cineasta, l'intellettuale, l'uomo che cede alle sue ossessioni. Pasolini è il racconto della vita, delle passioni, dei legami, dei sentimenti, delle gioie di un artista che avrebbe potuto continuare a dare e a fare tantissimo

 

  In questo Pasolini, film caotico linguisticamente così come nella forma, Abel Ferrara ci sorprende mettendo tutto il materiale che ha a disposizione nella sua maniera più semplice. Mette innanzitutto più film ed in questi film ancora altri film in un gioco di racconti frammentati che si accostano a volte apparentemente senza richiamarsi, in un accumulo di momenti che trovano un’unità solo nel nome di Pasolini e nell’idea di raccontare le ultime ore dello scrittore (così nel film Pasolini dice di voler essere ricordato/chiamato).

  Si inizia con il lavoro di montaggio su Salò, si passa alle interviste a Stoccolma, il ritorno a casa, la madre, il pranzo famigliare e Laura Betti che insegna i balli croati. E ancora l’ultima intervista a Riotta, il mondo dei ragazzi di vita e quello dei poteri forti (a mio parere il momento meno interessante del film, bozzettistico e girato in maniera banale), la scrittura incompiuta di Petrolio e i disegni preparatori - con la lettera a Eduardo - per il progetto Porno Teo Kolossal. Non mancano gli incontri, i cibi, il calcio, le ossessioni e una lucidità di pensiero che trovo ogni volta troppo dolorosa, così come il dolore vero della sua morte. Una morte che qui è raccontata nella sua versione più semplice, senza ricerca di una verità storica, ma in tutta la banale e, questa volta si, scandalosa brutalità figlia di una consuetudine storica di soprusi nei confronti della diversità che ne rende, in questo senso, l’uccisione realmente fascista. 

  Nel film di Ferrara Pasolini coglie tutto lo sfaldarsi drammatico della società, l’arrivo di una violenza “necessaria” e “inevitabile” in quanto figlia di un modello di sviluppo che porta a desiderare tutti le stesse cose. E non lo fa in modo indolore, Pasolini sembra portare su di se tutta questa consapevolezza. La consapevolezza di aver già visto tutto (brutalità e poesia) e di sapere quale sarà la fine (la sua e la nostra).

 Ma c’è, in questo Pasolini di Ferrara, un secondo film. Un film che è tratto da Porno Teo Kolossal, il film che Pasolini voleva interpretato da Davoli e Eduardo (ed è bello come in questo Pasolini sia proprio Ninetto a fare la parte di Eduardo). Un film che crea un nuovo mondo poetico. Una ricerca per il momento in cui, nella la morte, si praticherà l’evidenza che, anche se alla fine della scalinata non ci sarà il paradiso e non saprà sa cosa ci sarà, sicuramente qualcosa ci sarà. Magari una “Terra Vista Dalla Luna”: il riconoscere il luogo da cui siamo partiti e abbiamo incontrato la vita e gli affetti. O ancora meglio meglio, come dice Pasolini stesso nella lettera ad Edoardo “Il mondo della realtà, di cui hanno scoperto i valori cercandone altri”.

  Ma questo film non “esisterebbe” senza il miracolo del corpo mimetico di Pasolini/Dafoe
  Ferrara non chiede mai banalmente a Dafoe di IMITARE Pasolini; Ferrara chiede a Dafoe di ABITARE Pasolini. E questo abitarne il pensiero che lo rende ancora più uguale. Dafoe abita Pasolini e se ne ha l’evidenza più chiara proprio nel momento in cui, nudo sotto alla doccia al risveglio nella casa della madre, Pasolini/Dafoe diventa per un frammento Dafoe/Dafoe e ci si rende conto, proprio in quel momento, che è ancora Pasolini quello che hai davanti

 Rimane lo splendido dilemma della versione originale in tre lingue (inglese-italiano-francese). Ebbene l’universalità di pensiero di Pasolini ne esce rafforzata. Pasolini probabilmente parlava in friulano con la madre e in famiglia; in italiano con gli amici; vagamente in romano nelle sue frequentazioni di strada; in francese o inglese, non lo so, quando parlava con il mondo. Sicuramente straordinario quando Dafoe parla in italiano il film scade casomai quando gli attori italiani parlano in inglese dandoci un senso di straniamento difficile da superare. Straordinaria è la prova di Adriana Asti nel ruolo di Madre (soprattutto –ma non solo - quando, una altrettanto brava Maria De Medeiros/Laura Betti, le comunica la morte del figlio).

 A margine di questo imperdibile Pasolini di Abel Ferrara vorrei fare una riflessione sul film “La Grande Bellezza”: è imbarazzante e interessante vedere come non si riesca, io per primo, a uscire dal cliché mentale de “La Grande Bellezza”. Ci viene in mente continuamente anche vedendo questo Pasolini – film che (forse) più antitetico non può essere -. La Grande Bellezza ha creato un modello da cui sembra impossibile sfuggire al di là delle poetiche praticate. La grandezza di un film si misura anche con questo: dalla sua capacità di essere, volente o nolente, un modello iconografico a cui si va istintivamente a pensare. Se sino a 2 anni fa, per il mondo, Roma era quella di Fellini, Pasolini, De Sica, Sordi o di Vacanze Romane, oggi è anche, e soprattutto, quello de La Grande Bellezza.


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