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Marco Del Fiol, Gustavo Almeida The Space In Beetween
2016 » RECENSIONE | Documentario | docu film
Con Marina Abramović, João de Deus, altri
10/10/2016 di Eliana Barlocco
Il documentario, che la vede protagonista, e che è stato trasmesso per pochi giorni nelle sale cinematografiche è The Space In Between. Il film si apre con Marina che sta per addentrarsi all’interno di una grotta (e già la scelta della grotta apre ad innumerevoli riflessioni). Comincia così un viaggio che la porta ad attraversare il Brasile in cerca di un’ispirazione artistica, esplorando diverse realtà spirituali. Si parte con Giovanni di Dio, un curatore a Abadiania, incontra altri rituali a Brasilia, il sincretismo a Bahia, sperimenta l’assunzione di ayahuasca a Chapada Diamantina, partecipa a riti sciamamici a Curitiba e finisce col riscoprire e ammirare di nuovo l’energia del cristallo a Minas Gerais. In questo percorso incontra vari personaggi che la rendono partecipe delle loro scelte di vita, raccontando le loro esperienze spirituali e il loro essere nel mondo. E’ un cammino che Marina intraprende per curare il dolore, non quello fisico, ma quello emotivo. Un viaggio introspettivo attraverso i ricordi e le sofferenze del passato.
Ma che cosa è questo Spazio Intermedio? Nel caso specifico è lo stare al limitare tra Arte e Spiritualità. Uno stato di coscienza attraverso cui passa la conoscenza che, una volta elaborata e metabolizzata, viene restituita al fruitore. Un po’ quello che succede nei rituali. Infatti la Abramović stessa ad un certo punto si chiede quale sia la differenza tra performance e rituale. Si potrebbe dire quasi nessuna, sono molto simili. L’incontro con la spiritualità è il tema affrontato in questo documentario, anche se è un po’ riduttivo definirlo in tal modo. Si tratta di una performance o forse un passo più in là di una semplice performance. Perché di fatto Marina vive le sue esperienze filmandole, poi le rimonta utilizzando il mezzo artistico del cinema, supportandole con una voce narrante che indirizza lo spettatore verso una meta. La Abramović ha consapevolezza di volerci condurre su una via ben precisa, senza alcuna possibilità di fuorviare dal cammino. Vi è uno scambio univoco. Se in qualsiasi performance dal vivo contano anche gli scambi energetici tra pubblico e artista, in questo caso, noi pubblico riceviamo solo la pura energia di Marina. Non vi è interscambio.
La liberazione dal suo dolore le permette di incontrare altra gente e di trasmettere quello che l’esperienza di viaggio, di confronto con altri e soprattutto con se stessa le ha insegnato. E’ interessante notare che l’ultima tappa nelle miniere di Minas Gerais la riporta ad una performance passata e ad una consapevolezza di vita già vissuta, a chiusa del fatto che il viaggio, servito per liberarsi anche dalle paure e dalle ansie del passato, le abbia restituito una positività dimenticata, ma saldamente celata in lei stessa.
La conclusione a cui giunge è che : “Il popolo è l’arte. E io sono un mezzo per permettere alle persone di raggiungere l’arte.” Un’altra caverna (metafora della vita da vivere con altra consapevolezza?) ci attende, il viaggio ricomincia e noi saremmo lì ancora a farne parte, o almeno chi lo vorrà.