Notes of Blue<small></small>
Americana • Rock • Blues

Son Volt Notes of Blue

2017 - Transmit Sound / Thirty Tigers

17/02/2017 di Fausto Gori

#Son Volt#Americana#Rock #Andrew Duplantis #Mark Spencer #Chris Frame #Jacob Edwards #Jay Farrar

Jay Farrar non lo scopriamo certo oggi ma ripensare in modo sintetico all’intero suo percorso artistico è, vista la qualità fornita nel corso dei decenni, quanto meno doveroso. Gli Uncle Tupelo sono stati probabilmente la miglior roots rock band americana (e non) degli ultimi trent’anni. Già questo potrebbe bastare. La loro originale miscela, che di fatto inaugurò un’intera corrente musicale (l’alternative country), era assolutamente luminosa, in certi casi sembrava di ascoltare gli Husker Du in preda ad una conversione country. Pezzi come Still Be Around, Whiskey Bottle, Slate o la bellissima cover di Moonshiner  sono rimasti brani di riferimento generazionale, supportati da quattro album altrettanto grandiosi. Dopo la separazione da Jeff Tweedy il percorso successivo ha portato altri grandi dischi con i Son Volt (Trace, Okemah and the Melody of Riot) e altri da solista molto interessanti (Sebastopol o il magnifico live Stone, Steel & Bright Lights), progetti in cui la sua identità stilistica basata su evolute matrici roots  e radici americane, a differenza del suo compagno ex Tupelo, è rimasta costante e basilare.

Comunque al centro di tutto c’è un marchio di fabbrica che ha sempre avuto una sua intrinseca importanza: la voce di Jay Farrar. Nella sua suggestiva solennità,  una volta più aggressiva oggi più indolente, la tonalità vocale di Farrar ha rimandi davvero affascinanti, quasi celestiali, come se a cantare fosse una specie di sciamano malinconico cresciuto a Nashville.

Quindi veniamo al nuovo lungamente atteso Notes of Blue. Quattro anni dopo il dignitoso ma fiacco country di Honky Tonk, l’ottavo album dei Son Volt torna ad un sound maggiormente personale e riconoscibile, quasi un sunto della loro produzione.

Notes of Blue è composto da dieci pezzi brevi, ben prodotti, con belle sonorità, trentuno minuti in gran parte similari a cose già fatte in passato ma decisamente intensi e, come suggeriscono loro stessi o il titolo, particolarmente influenzati dal blues degli anni trenta (Mississippi Fred McDowell, Skip James e altri eroi della slide) e da figure importanti del cantautorato folk come Nick Drake e il meno conosciuto  Jackson C. Frank.  Infatti, nell’album si possono ancora riconoscere le loro ballate classiche o il rock dinamitardo di Okemah ma aleggia anche una personale e inconsueta anima folk blues  di cui i riff più accesi sembrano suonati da una improbabile collaborazione tra RL Burnside e ZZ Top.  Non di meno i testi del disco affrontano temi cari agli standard blues delle origini (delusioni d’amore, sofferenza psicologica e morte imminente).

Negli anni i musicisti dei Son Volt sono spesso variati, attualmente la line up della band comprende: Jay Farrar (voce, chitarra, armonica), Andrew Duplantis (basso),  Mark Spencer (tastiera, steel guitar),  Chris Frame (chitarra) e jacob Edwards (batteria).

Ma passiamo all’ascolto. Le due ballate alt. country iniziali Promise the World e Back Against the Wall sembrano brani dimenticati nelle sessioni di Trace o di Straightways ; la prima è stata ispirata dal Nick Drake di Pink Moon mentre la seconda, che avrebbe fatto un figurone se solo fosse uscita vent’anni prima, ha nelle liriche e nell’assolo di chitarra gli usuali riferimenti con Neil Young, un brano dove si è “con le spalle al muro” ma si intravedono anche spiragli di luce “quello che sopravvive ad un lungo e freddo inverno saprà essere più forte e non potrà più essere travolto”.

La parte più elettrica del disco, composta da un rock al vetriolo (Static e Lost Soul ) suonato con un approccio primitivo basato su due tre accordi, un po’alla Bo Diddley, e da blues dirompenti come Cherokee St e soprattutto dalla bivalente Sinking Down, particolarmente adatta alle litanie declamate dal sacerdote Farrar, è ben bilanciata da una parte più oscura che comprende pezzi come Three and Steel  e la sepolcrale Midnight (brano senza redenzione in cui la voce di Farrar sembra essere l’unica via d’uscita dagli inferi) e da pezzi intimisti dal respiro più leggero come The Storm  dove si torna al fingerpiking, al folk blues  più rurale dominato da arpeggi ipnotici.

E poi il bellissimo folk ipnotico Cairo and Souther,  che sembra farti vagare in territori lontani alla ricerca di te stesso, è pervaso da profumi d’oriente (nonostante Cairo rappresenti in questo caso una cittadina dell’Illinois) e da spiritate suggestioni psichedeliche che sembrano sublimare la vocalità incantatoria di Farrar.  Brano acustico dotato di melodia, fascino e mistica profondità.

I Son Volt di Notes of Blue hanno ancora qualcosa da dire, forse non in modo impellente come nei primi dischi, alcuni pezzi non possono più sorprendere come un tempo,  ma la tradizione di Farrar e soci continua a fornire particolari e evoluzioni sonore interessanti,  un sound sempre pulsante nel nome di uno stile inconfondibile che oggi, nell’ormai definito mondo della musica rock, in pochi possono vantare di avere.

Track List

  • Promise the World
  • Back Against the Wall
  • Static
  • Cherokee St
  • The Storm
  • Lost Souls
  • Midnight
  • Sinking Down
  • Cairo and Southern
  • Threads and Steel

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