Le Macchie Di Rorschach Le Macchie di Rorschach
2012 - Suburban Sky
Quale coerenza con questo presupposto sia inteso dal combo Le Macchie di Rorschach, progetto nato nel 2009 a Firenze, non è chiarissimo; tuttavia l’effetto di primo impatto é interessante e produce un certo fascino che incuriosisce.
Guidati da Carlo Sciannameo, voce e chitarra acustica, e da Alessandro Bosco, sax e flauto, il gruppo si basa su di un nucleo completato da Matteo Ambrogini, chitarra elettrica, Giulia Nuti, viola e Alessandro Geri al contrabasso. A questo organico vengono uniti alcuni ospiti sia per completare alcune curiose lacune (batteria) che per integrare con timbri aggiuntivi (piano, voci e cori).
Le radici dei musicisti sono molteplici; dall’indie rock al jazz, dal progr alla classica, tutte comunque ricche di spunti importanti per la realizzazione di una musica decisamente magnetica, che dispensa sia forza che dettagli, pluralità di idee e concentrazione sull’obiettivo.
I richiami alla migliore arte rock nazionale sono diversi: il primo Battiato, soprattutto per certi passaggi ermetici sullo sfondo di un mondo degradato, il progr del Banco del Mutuo Soccorso, ricordato da certe sfumature vocali e dalla capacità di inserire umori epici su trame elettriche, il senso del mosaico surreale alla Mariposa.
Gli strumenti suonano spesso in un “tutti” efficace, in cui il sax è sovente incandescente (certamente uno degli elementi più interessanti), il flauto e la viola sembrano narrare antiche favole alla Carroll, la chitarra elettrica introduce un azzeccato ingrediente quasi glam, il basso risponde del ritmo forse anche più dei tamburi; da notare la capacità di assemblare umori apparentemente contrastanti, folk e jazz, trame acustiche e testi acidissimi, per poi mescolare il tutto con una coerenza da suite alla Colosseum (si ascolti il graduale crescendo in Sputi e piogge acide o l’alternanza delle dinamiche sul pedale basso in La legge).
Il lavoro tiene inchiodati all’ascolto anche per le venature dei testi che partono da una forma – canzone modificandone tuttavia il senso della struttura; i ritornelli servono per creare pressione e non il classico relax del motivetto (a noi è piaciuto molto il refrain ne Il vestito migliore, anche se non è l’unico), i bridge strumentali sono veri e propri momenti musicali e non solo transitori tra una strofa e la successiva, numerosi e sapienti sono i ricorsi ad immagini visionarie ad impatto molto concentrato.
L’unica parte debole sta in certi passaggi vocali dei cori, sinceramente un po’ leggerini.
Un gran bell’esordio; noi ne siamo rimasti entusiasti, speriamo di non avere esagerato e soprattutto che la miscela continui con la stessa efficacia, senza impazzire.