Il Cane Boomerang
2014 - Moscow/Matteite Records/Audioglobe
#Il Cane#Italiana#Alternative #Indie-pop #Songwriting #Indie-rock
Come il lancio di un boomerang, ogni azione produce una reazione, un contraccolpo e un bilancio, a cui talora per immaturità non si pensa (maturità non è prevedere o comunque accettare le conseguenze di gesti e scelte?), ma il boomerang ricorda anche il ritorno di un passato di spettri con cui convivere e di un amore interrotto (“Non basta mai, bisogna farsi del male, / una volta per tutte, bisogna spezzarsi il cuore una volta per tutte e basta”, Cuscino rosso). Il presente d’altronde appare in stallo, un galleggiare in un “orizzonte infinito”, con “la paura di un amore serio / ferire il mondo e rimanere soli” (Panico).
Le riflessioni su questi temi evitano però di affondare il coltello nella piaga grazie a suonini elettronici a volte quasi da videogioco, o a ritmi accattivanti che un basso fascinoso in bella mostra (quello di Manuel Fabbro de Il Mercato Nero) sa generare, affiancando la batteria dello stesso Matteo. L’artista è infatti polistrumentista e, oltre a cantare e a occuparsi del pc programming, suona nell’album anche chitarre, sinth Korg e percussioni.
Tra le undici tracce dell’album non mancano ad ogni modo neanche brani che non riescono e non vogliono stemperare il loro sapore agrodolce: è il caso della malinconica ballata Al suo tempo, che stringe un nodo in gola mentre impasta un basso fondo e pensoso, un violoncello al contempo perentorio e fervido e le chitarre tese e struggenti di Egle Sommacal dei Massimo Volume in una sorta di danza della verità e insieme dell’oblio, eliminato un peso e squarciato il velo dell’ipocrisia (“continua a ballare al tuo tempo / per dimenticare // è giunta l’ora di parlare, è giunta l’ora di dimenticare”). Analogamente è il caso della pur ritmata Lacrime, che trasforma a tratti in canto di malinconia diffusa anche la tromba di Federico Mansutti (Film Da Fuga), tra le chitarre soffuse di Marco Testa di fuoco (Giorgio Canali & Rossofuoco).
Cenni di distorsioni alt-rock affiorano tra le chitarre di Cuscino rosso, mentre risuonano piuttosto riflessive le mid-tempo Spettri e la conclusiva Sconosciuti; cadenzata come una marcia, ma anche a suo modo impetuosa appare invece Alla grande, con farfisa e hammond di Ilaria D’Angelis (…a Toys Orchestra) e ospitata vocale di Giovanni Imparato dei Chewingum.
Tra le righe dei testi del disco, c’è una volontà che sembra debole nel teatrino del quotidiano, quasi vissuto ‘a nostra insaputa’, distrattamente e automaticamente, a un passo dall’illusione, così come da un disincanto che non produce cambiamenti. Non ci sono vani, idealistici o artefatti slanci ideali: questo album implica specchiarsi con un sorriso amaro, senza vedersi migliori o sopravvalutarsi, in un narrato musicale che si fa corale con gli ospiti già citati e molti altri ancora, evitando eccessi melodrammatici, vuoti virtuosismi o classicismi che gonfino il petto del comodo afflato della tradizione. Un disco umilmente, gloriosamente, piacevolmente (post-?) moderno.