The Kingdom<small></small>
Rock Internazionale • Alternative • Grunge

Bush The Kingdom

2020 - BMG

17/07/2020 di Giuseppe Ciotta

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Più volte rinviato, prima per il cambio di titolo tra il 2019 e il 2020 (da The Mind Plays Tricks On You, che torna nel testo di Undone, fino all’odierno The Kingdom), poi per l’aggiunta di un paio di brani, alla fine spostato da maggio a luglio causa Covid-19, ecco arrivare l’ottavo lavoro in studio dei Bush di Gavin Rossdale. È proprio una delle canzoni inserite all’ultimo momento, la superba Flowers On A Grave, ad averlo anticipato a marzo e ad introdurlo ora come traccia apripista. Trainato da un video molto anni Novanta, si tratta forse del più bel singolo dei nuovi Bush e fra i migliori dell’intera carriera. Non male per una formazione multiplatino che, dal 1995 a oggi, ha inanellato ben 18 singoli consecutivi nella Top 40 americana, di cui 6 al primo posto, per oltre 30 milioni di album venduti.

“La tristezza è il vuoto / Siamo ombre sotto la pioggia” canta il frontman chiamando a raccolta i puri di cuore, il cui obiettivo dovrebbe essere quello di liberarsi dalla stretta mentale dei multiformi tentacoli della società contemporanea, per anelare a una sorta di “Regno” (The Kingdom, appunto) compassionevole e solidale. Potrebbe suonare stucchevole, ma oggigiorno il cinismo preventivo e aprioristico è l’ultima cosa di cui c’è bisogno in una canzone. Il chitarrista/cantante ha dichiarato che le cronache mondiali hanno inevitabilmente influenzato le storie personali del disco, che non è un concept ma è tenuto insieme dalla ferma volontà di non piegarsi alle storture del mondo. L’empatia introspettiva velata di positività, marchio di fabbrica delle sue liriche, torna a spron battuto.

Musicalmente, il lavoro è influenzato dalle sonorità pesanti che circondavano l’autore nei grandi festival metal cui stavano partecipando i Bush, pur essendone stilisticamente lontani, proprio mentre lui iniziava a scriverlo, accompagnandosi anche all’ascolto dei suoi amici System of a Down. Metal, qui, è una parola grossa, ma certamente siamo dalle parti di quel filone del grunge che con quel genere ha più volte flirtato. In ogni caso, The Kingdom è la necessaria risposta al precedente e pacato Black And White Rainbows (2017) e suona come la sua nemesi.

La title-track condensa tutto ciò, presentando il drumming di scuola Bonham/Grohl del nuovo arrivato Nik Hughes, lontano dalle ritmiche articolate dell’originario Robin Goodridge, che portavano un apprezzabile retrogusto indie caratterizzando non poco i Bush. Perso l’unico altro membro originale del quartetto, Gavin, ad ogni modo, fa di quest’album il più pesante dei suoi, condividendone la produzione artistica con Tyler Bates (Rob Zombie, Marilyn Manson): un solido muro sonoro e una spessa grana chitarristica sono assicurati.

Bullet Holes, rilasciata come singolo e video per la colonna sonora di John Wick 3 nel 2019, aveva già mostrato l’indurimento anticipato nelle interviste dal leader. Ghosts In The Machine, oltre a giocare col titolo di un capolavoro dei Police, ribadisce l’inspessirsi delle sonorità di The Kingdom rispetto ai precedenti. Le chitarre di stampo Nineties saranno una gioia per gli accoliti del genere. In più, l’alternanza forte/lento di matrice Pixies/Nirvana, da sempre presa in prestito e che conduce a ritornelli esplosivi e orecchiabili, è qui presente come nel resto del platter. Rossdale lo ha paragonato a un The Science Of Things più robusto e meno monocorde, con temi sociali mai così pronunciati.

Blood River attacca come i Soundgarden d’annata e il riff portante è la cosa migliore del pezzo, con innesti elettronici sullo sfondo delle strofe, come nell’appena citato terzo album del 1999. Forse, qui il frontman canta un po’ troppo, riempendo così tanti spazi che il brano avrebbe avuto bisogno di respirare di più a livello strumentale. Quicksand parte rimandando davvero ai System of a Down ma subito presenta sonorità care a Seattle, vero leitmotiv del disco, per poi dipanarsi come la canzone più interessante del lotto fino a questo punto: ritmiche vorticose, un arrangiamento spiazzante e altre spruzzate d’elettronica nascoste qua e là.

In Send In The Clowns, Chris Traynor si distingue alla chitarra. L’ex Helmet, nei Bush dal tour per Golden State (2001) dopo l’abbandono del co-fondatore Nigel Pulsford – che gran peso aveva nel suono – ha ormai dato a sua volta un imprinting: meno dissonanze di scuola Santiago/Pixies, che personalmente ho sempre ritenuto entusiasmanti nei primi lavori degli inglesi, e meno ortodossia indie rock, per un chitarrismo più eterogeneo che meglio si presta all’alternative da stadio dei Bush 2.0. Undone non è la tipica ballata del gruppo, risultando meno stereotipata e più interessante per costrutto e arrangiamenti. Gli Smashing Pumpkins risuonano nell’apertura di Our Time Will Come, che fa da tema al brano, poi diretto lungo la strada più personale degli ultimi Bush, la stessa di Crossroads, con Traynor ancora sugli scudi.

Words Are Not Impediments è quasi schizofrenica nell’arrangiamento, mirabile come il titolo, ed è un’altra piacevole sorpresa, per come ondeggia fra atmosfere rarefatte e ancora sporcate digitalmente ed esplosioni ritmiche abilmente dirette dal bassista Corey Britz, con un cantato vincente che si piega agli umori strumentali. Falling Away, che conclude il lavoro, dà l’idea che Rossdale abbia voluto chiudere in bellezza, con una performance vocale calda e rassicurante delle sue, per un ritornello memorabile con chitarre struggenti a sorreggerlo. The Kingdom è finito e viene voglia di rimetterlo. Merito di 12 canzoni che nulla hanno di superfluo, centrate e ognuna con un’identità definita, per quanto girino attorno a riferimenti chiarissimi fin dall’incipit.

La copertina, venialmente, è la cosa meno riuscita. A differenza di quelle dei due lavori precedenti, davvero evocative, questa pare più adatta a un disco dei Warrant (che Dio mi perdoni…). L’alternanza strofe pacate/ritornelli esplosivi, inoltre, alla lunga potrebbe mostrare la corda, come certe sonorità radicate negli anni in cui i Bush fecero furore. Il punto, però, è proprio questo: Gavin Rossdale, per quanto mal digerisca l’etichetta “anni 90”, è musicalmente uno dei songwriter migliori del periodo e averlo ancora in giro, vista la moria di quella stagione, è un vero piacere. Complice lo svecchiamento che continua a portare alle soluzioni del gruppo, per quanto con volpesco mestiere.

Track List

  • FLOWERS ON A GRAVE
  • THE KINGDOM
  • BULLET HOLES
  • GHOSTS IN THE MACHINE
  • BLOOD RIVER
  • QUICKSAND
  • SEND IN THE CLOWNS
  • UNDONE
  • OUR TIME WILL COME
  • CROSSROADS
  • WORDS ARE NOT IMPEDIMENTS
  • FALLING AWAY

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