Questo suo nuovo album si intitola Weekend ed è tra i dischi più eclettici e riusciti che abbia mai inciso. Un album, come si dice, trasversale. Un album di cover, ripescaggi, inediti, rivisitazioni. Un album-fotografia degli specchi molteplici di Alice, nel senso che - credo - la rappresenti in tutto e per tutto: per climi, suoni, temi, suggestioni. Weekend è un disco di respiro internazionale (imparate da qui vaghe stelle dei talent show), leggero che induce leggerezza, pacificato, elegante, con diverse partecipazioni di peso specifico, e nemmeno quest’ultima è una cosa da poco e una novità per Alice. L’apertura - Tante belle cose - è Francoise Hardy riveduto e corretto da Franco Battiato: un totem, un filo rosso artistico, quest'ultimo. Una presenza che si vede e si sente, che ritorna anche nella classicissima Veleni (scritta dallo stesso Battiato con Manlio Sgalambro), e più avanti in duetto ne La realtà non esiste, dell’esoterico Claudio Rocchi (rivisitato ancora nella nuova interpretazione di L’umana nostalgia).
Altro bis per la tromba jazz di Paolo Fresu, già presente in Tante belle cose, e del tutto a suo agio anche tra i solchi di Da lontano (feat Luca Carboni). Sin qui le auree sono soffuse, sospese, interiori. Quasi delle sovrimpressioni di stati d’animo privati (ma non sterilmente autoreferenziali). Piuttosto un invito all’esplorazione. Dentro e fuori di sé, tra vite presenti e passate, echi di panteismo, addii e metempsicosi, dalla mente al cuore al mondo. Discorso più o meno simile per Aspettando mezzanotte (della stessa Alice), Viali di solitudine - riaffiorante dal suo passato significativo “per il semplice piacere di reinterpretarla” - e persino nella sintetica Un po’ d’aria di Luca Urbani dei Soerba. Declinazioni ennesima di un'idea-portante di canzone. Come ricerca, come porto canale, come rotta verso altrove lontanissimi o, invece, qui a due passi. Collante gravitazionale a tutto questo, la voce potente di Alice che - fidatevi - non ha perso un grammo del suo colore originale. Completano la scaletta Qualcuno pronuncia il mio nome (Mino DiMartino) e la cover di Christmas (scritta da Paul Buchanan dei The Blue Nile).