Wadada Leo Smith + Organic

live report

Wadada Leo Smith + Organic Teatro Manzoni, Milano

27/03/2011 di Giampaolo Galasi

Concerto del 27/03/2011

#Wadada Leo Smith + Organic

Chiusura della rassegna curata da Gianni Morelembaum Gualberto. Sul palco Wadada Leo Smith, trombettista che con l’AACM ha inaugurato le storiche avanguardie chicagoane (è presente, anche con una sua composizione, sullo storico esordio Three Compositions of New Jazz di Anthony Braxton) e poi ha proseguito con una teoria di autoproduzioni che l’hanno visto svincolare il puro suono dal blues, dalle forme preesistenti, dando vita contemporaneamente a un proprio sistema di notazione musicale denominato Ankhrasmation che aveva lo scopo di fornire dei punti di appoggio a chi improvvisava all’interno di una struttura compositiva ben determinata, senza per questo lasciare che simboli e regole imbrigliassero la gioia della scoperta, l’indagare le pieghe di quel processo meditativo che è l’improvvisazione. Ancoratosi al Rastafarianesimo e all’Islam, infine avvicinatosi alla musica del Miles Davis elettrico, dapprima con l’apporto del chitarrista Henry Kaiser, ora con gli Organic, ha dato vita a una personalissima continuazione di quella intensa opera di ridefinizione del Novecento che parte da On The Corner e approda a Dark Magus.
Stamattina sul palco assieme al trombettista ci sono i fedeli Pheroan Aklaaf, contemporaneo di Smith ma più spostato sul versante popular (e in passato coinvolto in molti progetti del sassofonista Henry Threadgill), John Lindberg (discepolo di David Izenzon) al basso acustico e Skuli Sverisson (attivissimo in qualsiasi ambito musicale possa definirsi di ricerca: Ryuichi Sakamoto, David Sylvian, Hildur Guðnadóttir, Arto Lindasy, Derek Bailey) a quello elettrico, Okkyung Lee (Christian Marclay, Butch Morris, Evan Parker, Chris Corsano) al violoncello e ben quattro chitarre. Di queste, tre (Michael Gregory, Brandon Ross, il giovanissimo Lamar Smith) provengono dal gruppo Organic cui è intestato il concerto, mentre il quarto, Josh Gerowitz, di fatto sostituisce Nels Cline. Si inizia con un rullante sfondato e sostituito al volo, e col basso elettrico di Sverisson equalizzato impropriamente, con la pedaliera non adeguatamente valorizzata (ma sono i tecnici del suono della band a occuparsene o quelli del teatro? Abbiamo dei sospetti al riguardo, ma sospendiamo il giudizio non avendo avuto modo di verificare direttamente). E’ un peccato, perché Organic è un progetto di caratura eccezionale, da quanto è possibile ricavare dalle incisioni discografiche. Soprattutto perché, a differenza del Miles elettrico del periodo 1973-75, abbondantemente massimalista, questo gruppo (che esegue composizioni originali, non rifacimenti) si distingue per un lavoro di cesello sulle sfumature. I giri di basso e l’elettricità sono il richiamo più evidente a quella musica, come anche la tromba effettata di Smith … ma le chitarre stamane sembrano, più che refrattarie, incerte al trovare adeguata disciplina, e anche se i giri di basso delle composizioni sono riconoscibili come sempre (South Central L.A. Culture, Angela Davis, Organic, Spiritual Fire), è difficile mettere ordine a una musica che nasce penalizzata da problemi esterni, e soprattutto a una musica come questa, che nasce dall’ascolto reciproco dei musicisti e dal tentativo di ridurre le problematiche esterne all’interplay di gruppo per concentrarsi sul lievitare del suono. Smith accenna a una conduzione, e resta sereno per tutta la durata della performance, mentre gli altri musicisti restano col volto fisso sullo spartito, e talvolta accennano a qualche insicurezza.
Resteremo sintonizzati con la creatura Organic e le sue prossime evoluzioni, per scoprire se le sfocature di stamane erano dovute esclusivamente a problemi tecnici o a una qualche mutazione della formula musicale ancora da regolare a dovere.